venerdì 13 gennaio 2017

Friday I'm in love

I don't care if Monday's blue 
Tuesday's grey and Wednesday too 
Thursday I don't care about you 
It's Friday I'm in love...


Così cantavano i Cure nel lontano 1992, con la bellissima Friday I'm in love. Ispirandomi a quella meravigliosa canzone, ormai quasi 6 anni fa, pensai di creare una nuova rubrica a cadenza settimanale (su Bookshelf ovviamente)  chiamata appunto Friday I'm in l❤ve. Poi vabbè, le cose sono andate come sono andate e il vecchio blog è solo un lontano ricordo, ma ho pensato di riproporre questa rubrica anche qui.
Come funziona? Ogni settimana sceglierò un libro che mi ha particolarmente colpito e ne pubblicherò un piccolo estratto, ma non un brano qualsiasi, bensì un brano d'Amore, di quello con la A maiuscola, travolgente, coinvolgente. Un amore da togliere il fiato.
Come mi sia venuta in mente una rubrica del genere, a me che sono la regina delle zitelle ciniche, francamente ancora a volte faccio fatica a spiegarmelo...
Il tutto, molto banalmente, è partito dal pezzo dei Cure (la musica, alla fine, c'entra sempre), che adoro, e anche dal pensiero, ormai fisso, che a questo mondo abbiamo sempre più bisogno di sentimento, di amore vero. Che qui ogni giorno è una catastrofe continua e un po' di bellezza e purezza serve. Tanto.

Per iniziare ho pensato a "Il maestro e Margherita" e a questo passaggio che mi fece  battere forte il cuore.


Il maestro racconta il suo primo incontro con Margherita, racconta di come fu amore a prima vista:

"Lei aveva in mano un mazzo di disgustosi, inquietanti fiori gialli. Sa il diavolo come si chiamano ma sono i primi a comparire a Mosca. E i fiori spiccavano violentemente sul suo soprabito nero. Aveva dei fiori gialli! Brutto colore. Sbucò da via Tverskaja in un vicolo e qui si voltò. Lei conosce via Tverskaja? Ci passano migliaia di persone, ma io le assicuro che lei vide me solo e mi guardava non si può dire inquieta ma addirittura in modo morboso. E lei mi colpì non tanto per la sua bellezza, quanto per il senso di solitudine insolito, mai visto, che c'era nei suoi occhi. Obbedendo a quel segnale giallo, svoltai anch'io nel vicolo e la seguii. Camminavamo per la viuzza monotona, tutta curve, l'una da una parte, l'altro dall'altra, in silenzio. Non c'era anima viva. Io soffrivo perché mi pareva che fosse indispensabile parlare e stavo in pena perché se non dicevo niente, lei se ne sarebbe andata e io non l'avrei più rivista. E, si figuri, fu lei che cominciò d'un tratto a parlare.
-Le piacciono i fiori? -
Ricordo chiaramente il tono della sua voce, abbastanza profonda ma a scatti e, per quanto sia stupido, mi sembrava che l'eco urtasse nella viuzza e riecheggiasse dalla sporca parete ingiallita. Passai rapidamente dalla sua parte e avvicinandomi a le risposi: - No -
Mi guardò stupita, e d'un tratto compresi, e fu una cosa del tutto inaspettata, che per tutta la vita avevo amato proprio lei."

(Da "Il maestro e Margherita" di Michail Bulgakov)



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